The Day After I Grew Up

the day after I grew up

18 maggio – 21 luglio 2024

Mostra collettiva con opere di Gloria Franzin, Tullia Mazzotti e Jilan Wu
A cura di collettivo goo

“Così è per il nostro passato. È inutile cercare di evocarlo, tutti gli sforzi della nostra intelligenza sonovani. Esso si nasconde all’infuori del suo campo e del suo raggio d’azione in qualche oggetto materiale (nella sensazione che ci verrebbe data da quest’oggetto materiale) che noi non supponiamo.”
Marcel Proust, La Strada di Swann, 2007 ed. Einaudi (1954)

Se chiudiamo gli occhi, siamo ancora lì.
Un preciso schema di luci e ombre, un pomeriggio placido, luoghi tanto familiari da risultare sfocati nei loro contorni. Poche esperienze umane sono universali come i ricordi della nostra infanzia.
I lavori e le poetiche di Gloria Franzin, Tullia Mazzotti e Jilan Wu si incontrano in questa intersezione: le memorie dell’infanzia incombono nel presente, riportate alla luce da oggetti, luoghi o gesti che le innervano di vecchie e nuove emozioni. La pittura e il disegno diventano i medium di elezione per fissare le stratificazioni del ricordo.

Durga Chew-Bose scrive che il ricordo si nasconde in silenzio, pronto ad attaccarci e ad irrompere nelle nostre vite non appena qualcosa si rompe. Un agguato complesso da gestire, che diventa sempre più nostalgico man mano che cresciamo. The day after I grew up, il giorno dopo che sono cresciutǝ, potrebbe forse essere proprio il primo giorno in cui facciamo esperienza del ricordo nel modo in cui le artiste ce lo presentano: una traccia lontana e stratificata dal tempo, dalle emozioni e dalle loro rielaborazioni.

Un’esperienza che, per tornare all’immaginario di Proust, è capace di scardinare la banalità del nostro presente, di rendere “indifferenti le vicissitudini della vita” nella sua potenza e capacità di farci comprendere, in un istante, chi siamo e che cosa è davvero importante per noi.
I lavori in mostra ci pongono in limine: sono portali che possiamo varcare per farci trasportare in una dimensione completamente altra da noi, eppure familiare e profondamente condivisa, in cui i ricordi delle artiste agiscono profondamente sul nostro immaginario.

Nel lavoro di Gloria Franzin, la pittura diventa una pratica performativa, che ripropone e analizza processi mentali, generando dimensioni in cui le soglie tra familiare e ignoto, definizione ed indefinitezza si sovrappongono e restano aperte, aprendo l’immagine a nuove visioni, nuove configurazioni soggettive. Nelle sue tele, gli oggetti diventano luoghi dove memorie e vissuti si sedimentano, evocando frammenti di passato che emergono dall’indeterminatezza del ricordo: festoni o coriandoli rimasti alla fine di una festa, giocattoli dall’immagine sfuocata nonostante i contorni definiti.
Un tratto che tiene insieme i contorni delle cose è presente anche nei delicati disegni di Franzin, come a suggerire la necessità di creare una sottile barriera all’incertezza e alla vaghezza del ricordo. Alcuni disegni parte della serie esposta sono tratti da immagini fotografiche appartenenti all’album d’infanzia dell’artista, mentre altri provengono da immagini più recenti, talvolta rubate oppure inventate. Uno strato di carta velina avvolge i disegni, fungendo da delicato involucro protettivo che, allo stesso tempo, rende ancora più etereo e opaco ciò che è rappresentato.

Per Tullia Mazzotti il paesaggio è uno spazio intimo e riflessivo, interiore ed esteriore, dove evocare ricordi ed esperienze d’infanzia ad essi legati. L’artista utilizza pittura, disegno e scrittura per sondare la fugacità della memoria e per trattenere e custodire immagini mentali lontane o vicine, che diventano visioni ideali del suo personale mondo interiore. In questa natura idealizzata, il paesaggio perde le sue forme nette, soccombendo alla memoria che rimescola, tralascia e inventa i dettagli. Dalla foschia emerge potente il colore, nelle sfumature di verde e di bianchi ora intensi ora tenui e lattiginosi.

La scrittura occupa un ruolo particolarmente significativo nella ricerca di Mazzotti: da un lato, trae esperienze e riflessioni da trasferire su carta e tela dai diari che tuttora scrive; dall’altro, in alcuni lavori la scrittura stessa a diventare protagonista. In mostra per la prima volta presso BoA Spazio Arte, questi lavori su carta sono caratterizzati dalla ripetizione ossessiva e stratificata di tratti ondulatori simili alla scrittura: mescolati e compenetrati, i caratteri sovrapposti tentano di dar voce ad emozioni profonde e inesprimibili, con la speranza di raggiungere una catarsi attraverso il mezzo espressivo.

Le opere di Jilan Wu nascono da un simile bisogno di esorcizzare emozioni forti e malinconiche.
Cresciuta lontano dai propri genitori, per tutta l’infanzia l’artista ha desiderato il loro amore senza poterlo ottenere. Il ricordo ancestrale di questo abbandono si esprime nella sua pittura attraverso il gesto dell’abbraccio, che simboleggia il legame affettivo che le è mancato e la paura della separazione e della solitudine che ancora oggi la influenza. I lavori esposti da BoA Spazio Arte fanno parte di Un centrimetro di tempo, la terza serie di opere realizzata da Wu che segue le prime due, Rosso e Abbraccio. Il corpo umano, nelle sue gestualità e nei suoi legami con altri corpi, è sempre presente nei lavori di Wu. Le sottili variazioni di colore esprimono la natura complessa dei rapporti umani, con le loro fragilità e dipendenze, mentre il giallo e il rosso rappresentano le emozioni forti che l’artista nasconde nel suo mondo interiore.

La dimensione del corpo e quella del tempo sono due elementi fondamentali nella sua ricerca. Se tramite un’attenta pratica dello yoga Wu è riuscita a prendere consapevolezza dei segni che le emozioni lasciano sul corpo, il rapporto con il tempo rimane immerso nella complessità, espressa dal proverbio cinese che dà il titolo alla serie: un centimetro di tempo equivale ad un centimetro di oro, ma un centimetro di oro non può comprare un centimetro di tempo.

Collettivamente, le opere di Franzin, Mazzotti e Wu intrecciano una conversazione sul tempo, la memoria e il ricordo, gli ‘intricati arabeschi’ della nostra mente in cui, come scrive Benjamin nel suo ritratto di Proust in Avanguardia e Rivoluzione, ‘il ricordo è la trama e l’oblio l’ordito.’
I nostri ricordi non si ergono immobili e perfetti nella solitudine della nostra mente: dimentichiamo e ricordiamo costantemente, in una mescolanza di passato e presente; ricostruiamo e mettiamo in discussione attraverso la condivisione e i legami con le altre persone.

Con i loro lavori, le artiste sembrano alludere alla contraddizione insita nel concetto stesso di interiorità, come descritta da Sam Johnson-Schlee: mentre siamo sole dentro noi stesse, ci intrecciamo alle vite degli altri molto più profondamente di quanto potremmo fare con interazioni esteriori, ma allo stesso tempo siamo spesso inconsapevoli dell’intimità che nasce da questo tipo di condivisione.

Opere citate:
Marcel Proust, La Strada di Swann, 2007 ed. Einaudi (1954)
Durga Chew-Bose, Too Much and Not the Mood, 2017, Ferrar, Straus and Giroux
Sam Johnson-Schlee, Living Rooms, 2022, Peninsula Press
Walter Benjamin, Avanguardia e Rivoluzione, Einaudi, 1976